Tramontata è la luna
e le Pleiadi a mezzo della notte ;
anche giovinezza già dilegua ,
e ora nel mio letto resto sola.
Scuote l’anima mia Eros,
come vento sul monte
che irrompe entro le querce;
e scioglie le membra e le agita,
dolce amara indomabile belva.
Ma a me non ape, non miele;
e soffro e desidero.
Passano e passeranno gli anni.
Può tramontare la luna in cielo, come la giovinezza sui volti. Possono le rughe essere testimoni della vita che ha appesantito, ha portato sofferenza e maturità , si può restare soli in un letto troppo grande, passare le notti insonni cercando di ricordare e ritrovare un profumo oramai svanito,ma chi una volta è stato dedito all’amore e ha chinato la testa davanti a sua madre Afrodite come la vittima davanti l’altare sacrificale avrà per sempre dentro di se la fiamma viva e pronta a divampare, come vento sul monte che irrompe entro le querce;
e scioglie le membra e le agita,
dolce amara indomabile belva.
La solitudine può essere un argomento difficile e triste da affrontare, tuttavia il suo eco malinconico si trova sempre nella poesia, subito dopo l’amore,e anzi il più delle volte sono collegati. E sempre più spesso la solitudine viene identificata con la notte. La notte con la sua luna, la ladra e la bugiarda, e la sola nel cielo . Per quanto possano essere numerose e brillanti le stelle, saranno sempre lontane . Forse perché chi resta solo, si ritrova ad alzare lo sguardo al cielo per una preghiera, un desiderio o una speranza e la prima cosa che lo sguardo incontra è appunto la luna.
Saffo lo sapeva. E Saffo viveva nel 500 A.C.
Chiudete gli occhi e immaginatevi una ragazzina, non molto bella ma con gli occhi viola, che corre nei boschi sotto la luce della luna, ride e non importa se si ferisce o si sporca. Nessuno la guarda, nessuno la ascolta. Nessuno nota la sua presenza. Ma un giorno decide di farsi spazio tra una folla e comincia a recitare i suoi canti, la sua devozione alla dea Afrodite e ai suoi poteri. In quel momento si dichiarava, appena adolescente, la voce della dea sulla terra, la sua schiava perenne e la sua sacerdotessa. Da allora, ogni volta che Saffo parlava tutti la guardavano e tutti la ascoltavano, rapiti e innamorati della ragazza, poi donna, dagli occhi viola. La donna che viveva tutti gli amori, indistintamente dal sesso , perché lei si innamorava delle anime delle persone e del fuoco che ardeva dentro di loro. E in quanto servitrice e persecutrice dell’amore si ritrovò anche a soffrire. Di gelosia, di abbandono, di invidia. Sono passati duemila anni ma non si può non amare la sua poesia, così carica, così disperata e appassionata, così dedita alla natura , all’amore e alla dea, e sopratutto così reale. Fino alla fine, non curandosi degli anni che passavano, lei viveva e amava, anche se questo significava restar infine da sola.
Ma a me non ape, non miele;
e soffro e desidero.
Anche se questo significava restare con nient’altro che un pugno di ricordi, sofferenza e desideri inutili.
Saffo lo sapeva. L’ha sempre saputo.