Luigi Pirandello ha reso manifesta la propria genialità in diverse opere. L’acume, l’ironia, la capacità di scovare nel fondo dell’animo umano, sono solo alcuni degli aspetti presenti costantemente nei suoi lavori, dalla critica letteraria al romanzo, fino al teatro.
Siamo a cavallo tra il 1920 e il 1921. L’ Italia, appena uscita dalla Prima Guerra Mondiale, vive momenti di fermento, tra la ripresa economica post-bellica e le rivoluzioni operaie. In pochi, però, immaginano che, di lì a un paio di anni, Benito Mussolini avrebbe marciato su Roma e inaugurato, di fatto, il ventennio fascista.
Pirandello ha già alle spalle un’opera capitale del XX secolo, Il fu Mattia Pascal, straordinaria versione romanzata di quell’eterno conflitto tra forma e vita che lo ha reso celebre in tutto il mondo. E anche per quanto riguarda il teatro, il suo interesse è molto precoce: l’autore siciliano si cimenta nel teatro in dialetto e in lingua, spesso raggiungendo risultati eccellenti.
Ma è con Sei personaggi in cerca d’autore che arriva la svolta. A dir la verità, l’opera in questione è solo la prima di quella che viene considerata una vera e propria “trilogia del teatro nel teatro”, insieme a Ciascuno a suo modo (1924) e Questa sera si recita a soggetto (1930).
Capolavoro della letteratura del Novecento, pilastro per tutta l’Europa, nato dall’insofferenza per le convenzioni della vita di teatro e da un confronto tra le sue strutture e quel senso di vita autonoma che il personaggio in quanto tale vive, Sei personaggi in cerca d’autore può essere considerato l’apice della poetica pirandelliana, splendido esito di una riflessione che lacera l’individuo umano e lo immette in un mondo finto, ipocrita, che probabilmente mai può attingere alla verità.
Il dramma è azionato da un meccanismo scenico, oseremmo dire, conosciuto ai più, ma sulla cui grandezza pochi si soffermano davvero. Innovativa e assolutamente geniale è infatti l’idea pirandellina di sei personaggi (sono il Padre, la Madre, la Figliastra, il Figlio, il Giovinetto e la Bambina) che irrompono sulla scena teatrale “in cerca d’autore”, appunto. Essi, rifiutati dall’autore che li ha concepiti, chiedono con insistenza al Capocomico di mettere in scena il dramma che hanno vissuto, la vita autentica che nessun autore ha trasposto sul piano della forma artistica. E tutto ciò mentre una compagnia di attori sta provando Il giuoco delle parti (1918), forse la più importante opera della prima fase del teatro pirandelliano.
Il teatro e i suoi meccanismi vengono qui messi duramente a confronto. È, questa, la più alta espressione del metateatro, ossia del teatro nel teatro. Realtà e finzione (è un topos di Pirandello) appaiono concetti quanto mai sfumati, dai confini troppo labili per poter essere nettamente definiti. I personaggi aspirano a veder rappresentata la “realtà” del loro dramma (essi stessi sono però frutto della fantasia), ma ben presto si rendono conto dell’ impossibilità di realizzare tale progetto. La loro volontà tozza “fisiologicamente” con quella degli attori, che cercano di rappresentare la vicenda con i mezzi che hanno a disposizione, ossia mezzi teatrali. Alla finzione del teatro, che è “forma”, si oppone la “vita” autentica, quella fatta di tragedie quotidiane, in cui si ripete l’angoscia di colpe da cui è impossibile sottrarsi.
Quella di Pirandello è la constatazione che la vita non può essere rappresentata con i tradizionali mezzi di comunicazione (è il tema anche di un’altra splendida opera dello scrittore, I quaderni di Serafino Gubbio operatore). Il dramma si può esprimere solo come frantumato. La conclusione è quanto mai “aperta”, con l’ irruzione della “vita” sulla scena (cioè la rappresentazione della morte della Bambina e del Giovinetto) che disintegra la finzione teatrale e fa risuonare la stridula risata della Figliastra, che, ultima apparizione, getta un’ombra di inquietudine su tutta l’opera.
Anche Sei personaggi in cerca d’autore, come tanti lavori pirandelliani, emana un fascino di sorprendente attualità. È un monito all’uomo: attenzione, l’autenticità è la vittima preferita della recitazione e della finzione.