Nel 1983, due anni prima della sua morte, Italo Calvino pubblica Palomar.
Il piccolo volume rompe un silenzio letterario cominciato quasi dieci anni prima, dopo la pubblicazione de Le città invisibili, in cui ritroviamo lo scrittore dedito quasi esclusivamente a collaborazioni con giornali come Repubblica e Il Corriere della Sera.
Proprio su quest’ultima testata, agli inizi degli anni 80, Calvino pubblicherà una serie di racconti, poi raccolti in un unico volume, tutti accomunati dalla presenza del protagonista, il Signor Palomar, che dà il titolo al libro.
Il curioso nome scelto dallo scrittore richiama quello del celebre Osservatorio Astronomico, Mount Palomar, situato sul monte della California.
Chi è Palomar?
Palomar è un uomo taciturno e riflessivo, dal carattere difficile e nervoso, che soffre molto della sua difficoltà di rapporti con il prossimo. Invidia le persone che hanno il dono di trovare sempre la cosa giusta da dire, il modo giusto di rivolgersi a ciascuno […].Queste doti -pensa Palomar col rimpianto di chi ne è privo- sono concesse a chi vive in armonia col mondo […]. Decide di imitarli. Tutti i suoi sforzi, d’ora in poi, saranno tesi a raggiungere un’armonia tanto con il genere umano a lui prossimo, quanto con la spirale più lontana del sistema delle galassie.[…]Palomar, per il resto persona abbastanza comune, con una moglie ed una figlia, una casa con un giardino, non ha particolari competenze o caratterizzazioni ben precise, tranne che una grande motivazione all’osservazione di tutto ciò che è intorno a lui, all’uso del microscopio e del telescopio, nel tentativo di cercare il significato del mondo che lo circonda e di se stesso per trovare un’armonia in mezzo ad un mondo «tutto dilaniamenti e stridori».
Palomar abita, come noi, in un’epoca di precarietà e incertezza, in cui l’angoscia per il futuro ha raggiunto picchi elevatissimi, assumendo la forma dell’assenza dell’ideologia o dell’abbandono alla nevrosi, nonché della depressione e della ricerca disperata di una qualche verità a cui aggrapparsi per non cadere nella trappola dell’instabilità e della paura.
Il nostro uomo tenta di reagire a questa condizione odierna dell’esistenza umana cercando un metodo adatto per catalogare scientificamente la realtà, comprenderla e analizzarla.
E’ nella scienza di Galileo, che si basa rigorosamente sull’osservazione e sulla descrizione, che Palomar trova un prezioso riferimento per la sua conoscenza scientifica del Cosmo.
L’osservazione e la descrizione sono, quindi, gli strumenti di Palomar, le sue lenti d’ingrandimento, che tuttavia non fanno altro che condurlo a nuove incertezze e a nuove domande. Nulla, né le onde del mare, né il cielo, né la luna, né il volo degli uccelli o una bottega di formaggi, si lascia consumare ed etichettare, né tantomeno comprendere.
Ogni cosa che abita la realtà è infinita e indefinita e Palomar se ne accorge ben presto.
Negli ultimi racconti, il protagonista tenta una nuova via, quella della meditazione, dell’osservazione interna: Non possiamo conoscere nulla di esterno a noi scavalcando noi stessi, l’universo è lo specchio in cui possiamo contemplare solo ciò che abbiamo imparato a conoscere in noi.
Impresa affascinante, ma destinata all’insuccesso.
L’Io non è meno complicato del mondo esterno e il nostro Palomar, moderno Don Chisciotte, resta imbrigliato e intrappolato nella sua stessa sete di conoscenza.
La saggezza, la verità, sono irraggiungibili per loro stessa natura.
Qual è, allora, il senso del viaggio esterno e interno di Palomar?
Il senso è, forse, il viaggio stesso. La ricerca della saggezza è il motore che ha spinto il nostro moderno eroe a muoversi, a uscire dal torpore, a mettersi in viaggio con la mente, a ribellarsi a una condizione passiva e mortificante.
A proposito di questa sua opera, lo stesso Calvino ha scritto: Rileggendo il tutto, m’accorgo che la storia di Palomar si può riassumere in due frasi: Un uomo si mette in marcia per raggiungere, passo a passo, la saggezza. Non è ancora arrivato.