Nessuno nasconde un oggetto prezioso in un recipiente di grande valore,
ma spesso tesori incalcolabili sono posti in un recipiente del valore di un asse.
Così è per l’anima: essa è un oggetto prezioso ed è venuta a trovarsi in un corpo spregevole.
Vangelo secondo Filippo
Aprendo la porta della vostra immaginazione, lasciate entrare nelle orecchie i leggiadri passi del tempo, ascoltateli sussurrare emozioni profonde, e lasciateli giungere in punta di piedi l’antro del cuore. Quali potrebbero essere le storie che si velano dietro l’ombra di gesti ripetuti per un tempo infinito, quali dolori, quali gioie o piaceri? Questo mese a voi lettori, lasciamo il compito di raccontarci la storia di una vita, semplice, limpida, come solo l’anima dei sogni, sa essere.
Raccontaci che cosa si nasconde negli occhi di quest’uomo, quali avventure l’hanno portato a compiere gesti così privi di significato per chi lo guardasse dall’esterno.
Inserite pure il vostro finale nei commenti entro il 30 APRILE : non avete alcun limite di lunghezza. A nostro insindacabile giudizio potranno essere selezionati fino a 5 finali, in palio per ognuno di loro un libro a scelta dalla classifica dei top100 di IBS (trovate qui l’elenco). Siete pronti? Buona scrittura!
Sono così i passi del tempo:
leggere ombre sulla terra.
Ho sempre amato le mattine d’estate, perchè il sole arriva tardi e scende ancor più tardi sul viottolo di casa. Amo la campagna, amo le lumache che di notte guardo lente camminare sui muretti, mentre silenziose e lisce portano sulle spalle il fardello del giorno.
Ero felice, lì nell’ufficio della mia grigia città, proprio perchè l’indomani sarei partita con l’entusiasmo dei bambini: avevo acquistato d’impulso una casa di campagna senza mai vederla se non in foto. Sapevo che sarebbe stata perfetta per me, per godermi quel silenzio che tra queste vecchie mura d’ufficio tanto m’assillava.
Il giorno dopo, nella mia auto sfasciata dalla salsedine, viaggiai accompagnata da una musica leggera e da piccoli cristalli di mare attaccati al vetro, piccole nebbie per la mia vista nuova e ricca di curiosità. Al mio arrivo fu una gioia trovarmi di fronte a quel riarso accumulo d’anni e pietre: già ne percepivo le vibrazioni intense, quella musica che nel tempo l’aveva resa vissuta e piena, quel suono di risa e pianti, di parole attaccate ai parati e al legno usurato di ogni camera. Avevo finito di sistemare da poco le mie cose ed un raggio di sole richiamò la mia attenzione rientrando nelle sgualcite fessure d’una finestra, un canto di sirena che mi chiamò ad aprirla: non persi tempo nel cedere al richiamo, la spalancai e mi bagnai di luce…
Guardavo le colline d’intorno contorcersi in sinuose volute di lussureggiante vegetazione. Erano le sette del pomeriggio e nel vicolo di sotto vidi un’ anziana figura camminare a passo svelto e deciso sul selciato: pareva un merlo che salta di tetto in tetto, per il puro amore di farlo.
Presa dalla curiosià, osservai ogni suo movimento, fintanto che non si bloccò, porgendo su piccolo muretto dei fiori bianchi e bisbigliando parole udibili solo dal vento. La poesia di quel gesto mi rapì a tal punto da restare a spiarlo ancora per un po’: come destato da un brutto sospetto, l’uomo si guardò intorno e scorgendomi voltò le spalle senza un cenno di saluto, andando via. Fu allora che allontanai i miei passi da quella visione quel tanto che basta per rendermi conto di non aver pensato alla cena: mi precipitai giù per quelle scale scricchiolanti e lasciai correr via quelle immagini e quella leggera brezza estiva.
Una casa di campagna ha bisogno di molta manutenzione, lavoro che impegna tutto il giorno e poco lascia spazio ai pensieri: l’ideale per chi come me aveva solo desiderio di scappare sulle ali del sogno e di restare in solitudine. Il mio era uno di quei tunnel che si percorrono solo a mani vuote e piedi scalzi, mentre tra i vestiti ti danza il cuore del silenzio. A fine giornata, stanca e serena mi ritrovavo ben presto nella mia camera da letto: una di quelle sere, mentre richiudevo l’ultimo infisso, rividi ciondolare l’uomo di qualche giorno prima, ancora più sospettoso e incerto, mentre si dirigeva con i suoi fiori verso lo scosceso muretto.
Compiuto quello che ormai ritenevo essere il suo rituale si girò dalla mia parte, quasi s’aspettasse o sperasse di trovarmi: fu una sorpresa vedere la sua espressione ancora più tronfia nel trovarmi alla finestra, prima di scappare via di nuovo.
I giorni trascorsero lievi e la presenza di quell’anziana ombra accompagnata dai soliti fiori, che entrava e usciva dalla mia vita alle sette in punto d’ogni sole, senza mai un cenno di saluto, divenne una costante compagnia.
Una mattina mi accorsi d’aver finito tutte le scorte portate con me dalla grande città, così andai alla bottega più vicina, passeggiando tra i viottoli di quel tranquillo paesino di provincia, tra il profumo di canditi e fiori d’ogni tipo che si riversava come un fiume sui balconi, per le scale, negli spazi vuoti d’una lastra di basalto. Comprai quanto mi servisse per vivere quell’intera settimana perché non volevo stringere confidenza con nessuno: chiesi solo alla paffuta signora d’altri tempi se conoscesse l’identità di quel misterioso signore: non ottenni risposta.
Ancora una volta m’incamminai sul sentiero alberato di casa, attendendo, come ogni giorno di ritrovare con lo sguardo l’ombra del mio ospite silenzioso: osservavo tutte le sere dalla mia finestra il suo muto rituale e ne rimanevo sempre più colpita, come se in quei gesti non ci fosse alcunché di meccanico ma un sentimento antichissimo racchiuso in un cassetto lungo un minuto.
A metà agosto misi a soqquadro la casa per trovare un libro che ero certa d’aver portato con me, ed ero intenta a cercarlo quando sentii un suono leggero di nocche alla porta: non desideravo nè aspettavo visite e mi sorpresi doppiamente quando ritrovai, una volta uscita, il viso di quell’uomo che avevo osservato ogni giorno da lontano fin dal mio arrivo. Pensai mille cose in un istante: Perché aveva deciso di vedermi? Chi gli dava il diritto di intromettersi nella mia vita? Non potevo biasimarlo: era quello che avevo fatto io per tutto il tempo della mia permanenza. Non sapevo cosa aspettarmi, quando lui mi tolse dall’impaccio delle domande:
“Le racconterò la storia di quei fiori, perché quando ormai il mio tempo sarà finito, continueranno a giacere in quel luogo. Me lo promette?”
Non riuscii a sibilare altro che un: “Sì”.
Ed iniziò così un pomeriggio di mezza estate, mentre lenta una lumaca solcava silenziosa la mia terra.