Elegia IV
Oh alberi di vita, quando il vostro inverno?
Noi non siamo concordi. Non siamo come gli uccelli
da passo in armonia. Superati, tardi,
ci opponiamo d ‘improvviso ai venti
cadendo così in un lago d’indifferenza.
Conosciamo insieme il fiorire e l’inaridire.
Ma in qualche luogo leoni incedono ancora
e non sanno finchè loro dura maestà d’impotenza.
Rainer Maria Rilke
Le “Elegie Duinesi” sono il punto più completo, più alto, più carico, del viggio poetico di Rilke.
Persa oramai quella forte vena dell’aldilà, del metafisico, della religione, si cercano nuove linfe, nuovi registri letterari, ed il poeta praghese li fornisce abbandonando la cristianità, i cieli pieni, i futuri scritti; si parla dell’uomo, delle sue forze innate, scaricate, celate, sedate dalle città informi, dai mondi oramai senza più significati che superino le carni e le logiche dei sessi – identità disperse (lui stesso, in special modo, nei primi coponimenti lascia trasparire fortemente la sensazione di essere un uomo senza patria).
La rottura col “prima” è sensibile in molti intellettuali del tempo, con chi oramai sente forze nuove e nuove filosofie, il Nostro difatti distanzia tutto gli spettri precedenti ma continua ad essere nella forma un inguaribile romantico, un esteta classicista, uno che comunque ricercasse il “bello”, spesso artefatto. E’ dunque un punto di partenza, un poeta di transizione, un infelice col cuore però ancora aggrappato al passato, ma mentalmente lontano, che non si può rincuorare con promesse di glorie future e benevolenze iperuraniche.
Questi sono i primi versi della quarta elegia, versi come sempre incollati e radicati nella terra, tra l’aria e le piume. Cantano il distacco che gli uomini hanno dalle logiche naturali, usando un immagine elegante e classica, una similitudie tratta dal mondo animale, descrivono in una manciata di parole il modo in cui l’uomo moderno scade nell’alienazione, nella sonnolenza, figlie ripugnanti delle mancate risposte che quel che ci contornia dovrebbe darci, o meglio vorremmo ci dessero. “…conosciamo insieme il fiorire e l’inaridire…” è lo scatto di orgoglio che Rilke si concede verso il cervello umano, verso le sue capacità di elaborare, di percepire e ricostruire, è il mezzo, e meravigliosamente anche la causa delle contraddizioni che tanto ci premono, ci schiacciano, è il mezzo per la ricerca di un’altra edificazione tutta umana.
Infreddoliti, ridacchianti, intimoriti
e raccolti, sversano sui teschi finiti
e lontani gli elisir dai colori
brillanti, irriproducibili
miracoli liquidi
che risvegliano ma non rendono nè parlati nè moventi
in luoghi
nè nascosti nè solari
a creare una dimensione ennesima di essenza.