I lettori sono animali tanto interessanti quanto strani, capaci di sperimentazioni e voli pindarici talvolta, conservatori strenui talaltra. Possono amare visceralmente Bukowski e con la stessa intensità bramare una rilettura del Decamerone. Quasi tutti nutrono però una stessa difficoltà. Abituati a sortite in meandri poco esplorati, se incontrano un habitat nel quale si sentono sicuri ed appagati, sarà difficile per loro concepire la possibilità che esista un’altra via. Come dimenticare la reazione di Annie al pensiero della morte di Misery o la mia, beh certo questa la ricordo solo io, quando ho intuito che Pennac non intendeva rifocillarmi con altre storie dei Malaussène?
Sarò dunque brutale. Nel “L’uomo che guardava passare i treni” il commissario Maigret non c’è e dirò di più, la sua mancanza non si sente.
Cosa succede ad un uomo, un qualunque Kees Popinga padre di famiglia e marito silente, se gli si tolgono in un attimo tutte le certezze prima fra tutte il suo lavoro? Homo homini lupus diceva Hobbes, sono dunque le sovrastrutture a fare di tutti noi esseri ordinati e socialmente non pericolosi? Sembra suggerirlo Georges Simenon, mescolando la frustrazione e le piccole ambizioni ecco che si avrà un semplice piccolo borghese, levandogli quelli che sembrano essere dunque solo freni inibitori, avremo la genesi del “mostro“. Questa società che priva gli individui delle secolari roccaforti della loro identità, che li rende precari professionalmente e interiormente, sta forse preparandosi all’avanzata di un esercito di Popinga?
Oggi più che prima siamo abituati a guardare con sospetto il nostro vicino di casa, questo non è di certo il clima in cui scrive Simenon, niente Cogne, niente Avetrana etc etc etc. Scritto ben 73 anni fa, questo viaggio nella mente di un lucido assassino avrebbe di certo meritato un plastico a Porta a Porta tanto è attuale, se non si trattasse di pochi anni prima del secondo conflitto mondiale potrei essere invidiosa dell’impossibilità. Guarda i treni passare Popinga, quelli notturni, al tepore di una stufa nella quiete del proprio nido e si sente fremere di desiderio, il viaggio ed il peccato, un viaggio nel peccato. Simenon si concentra sulla figura del mediocre trasformatosi in antieroe senza lasciarsi mai andare a digressioni sull’atteggiamento psicologico degli altri personaggi, che risultano appena abbozzati. La prima vittima di Kees si affaccia appena nella storia, ne conosciamo nome, professione e colpa. Pamela, entreneuse, ride alle profferte sessuali del protagonista e lui la strangola quasi per caso, senza il minimo rimorso, senza cercare di nascondersi. Se non abbiamo più alcuno da impressionare, nessuno a cui dimostrare la nostra forza morale e rettitudine a che pro allora celare i nostri misfatti? Doverosamente però bisogna riconoscere che per quanti sforzi faccia, nemmeno lui riesce ad essere libero dal giogo delle opinioni altrui, si indispettisce quando si sente non capito, vorrebbe essere temuto e riconosciuto. Scrive ai giornali ed al commissario incaricato delle indagini sul suo conto, ci tiene a non essere definito assassino ma omicida, è piccato dall’epiteto paranoico.
Non suscita simpatie il neo balordo, non lo si ama, ma si spera la faccia franca, quel neo maligno che risiede nell’anima di tutti noi si bea di poter desiderare la vittoria dell’omicida. La vittima è irreale che male c’è dunque nello spalleggiare il cattivo? Diciamoci la verità, ci insegnano già da bambini una serie di comportamenti necessitati, saluta e ringrazia, questo è bene questo è male. Popinga non è un modello, chi mai vorrebbe che qualcuno avesse la licenza di aggredire chi lo infastidisce, onde evitare però di divenire presto o tardi una sorta di pentola a pressione potremmo anche noi concederci qualche lusso.
Una mia vicina mi è cordialmente invisa, ho deciso…non le dirò più buongiorno, cattiva me!