Non aspettatevi di trovarlo in qualche libro di letteratura, né tantomeno in uno di storia. Lui si chiama Alessandro Mari, e nonostante la premessa, mastica libri e storia da sempre.
Trent’anni appena compiuti, è sbarcato a gennaio in libreria con una lavoro dedicato alla nostra gloriosa nazione, che non da tutti però è così apostrofata (forse con le virgolette…).
Il suo libro, Troppa umana speranza, è una vivida rappresentazione dell’Italia preunitaria; personaggi come contadini ed eroi sin ora troppo gonfiati come Garibaldi fanno capolino tra le pagine di una storia che ha tanto da dire a chi, come noi, non ha di che lamentarsi se non di ciò che non abbiamo saputo fare.
– Ma come nasce questo vero e proprio temerario garibaldino? In un’intervista rilasciata poco tempo fa Alessandro ha risposto:
Ho lavorato per un anno alla Feltrinelli come traduttore, poi ho deciso di sottoporre il mio libro al loro giudizio, ci ho messo un po’per trovare il coraggio di farlo, avevo timore di fare brutta figura. Ero un po’titubante perché un romanzo storico ambientato nell’Italia prerisorgimentale così di prima acchito può non entusiasmare una casa editrice. Invece è piaciuto, mi hanno incoraggiato ed è finito sugli scaffali delle librerie.
– Raccontaci un po’ di te, Alessandro.
Sono laureato in Letteratura straniera alla Iulm di Milano, dopo la laurea, ho frequentato la Scuola Holden di Torino, dove ho conseguito un master di Scrittura e storytelling. Prima di girare per le case editrici, ho fatto un po’ di tutto, dal traduttore al ghostwriter.
– Come nasce l’idea del Risorgimento?
In realtà il personaggio del contadino Colombino era ambientato nel presente, ma poi mi sono accorto che egli era persona di altri tempi: un po’ tonto, ma dotato di insolita e sorprendente sensibilità per un uomo della sua età, e così è uscito fuori un intero ritratto di un’epoca. Certo anni fa, quando partii con questo progetto, il mio obiettivo era tutt’altro che quello di pubblicare per il cento cinquantenario, furono i responsabili della casa editrice a farmelo notare, in effetti è proprio una bella occasione.
– Cosa hai messo in luce nel tuo romanzo?
Sicuramente sono stato colpito dalla potenza della giovinezza, dal sentimento della compartecipazione alle vicende e della caparbietà di arrivare ad un obiettivo. Durante il Risorgimento, a mio avviso, si viveva sempre come alla vigilia di un momento decisivo.
-Che consigli daresti ad un giovane che vuole dedicarsi alla scrittura?
Be’, se sente che l’idea è vittoriosa, il mio consiglio è di non mollare mai, di finire il romanzo e di proporsi. Non basta mandare l’opera, bisogna cercare il contatto umano per proporre la proprio idea, il proprio lavoro.