Etta..
– Eh. che c’è.
Etta, ti ricordi la prima volta che sei caduta?
– La prima..volta?
Si, la prima. La prima volta che sei caduta.
– Perchè mi fai questa domanda, Ody?
Non lo so. Mi interessa. E’ un ricordo vivo: voglio dire, cadere e tutto il resto. Si, insomma, l’impatto. Fa male, si ricorda, è qualcosa di vivo, mi capisci?
– Uh. Si… Io ho sono caduta due volte per la prima volta… della prima in assoluto ricordo l’immagine di me che cado, nell’altra invece ricordo il dolore. Qual e’ la vera prima volta?
Penso quella del dolore,Etta. Raccontami quella del dolore.
– Ok, ma mi fai un pò paura con queste curiosità. Sicuro che va tutto bene?
Etta…
– Va bene, va bene… Allora, ero in gita con la classe del collegio: avrò avuto 5 o 6 anni, non lo ricordo bene. Le maestre ci portarono in visita ad un convitto di suore, ci fermammo a pranzo e nel pomeriggio ci permisero di passare un pò di tempo nel giardino di questo grande palazzo. Avevo una piccola fionda di legno fatta con un elastico preso da una vecchia camera d’aria: ci andavo matta, la portavo sempre con me, era la mia arma segreta.
Quel giorno mi pareva di essere finita nella polveriera di un grande castello: quel giardino era pieno di ciottoli rotondi e bianchi, sembravano fatti apposta per essere tirati. Proiettili a iosa. Cosa puoi fare se non la guerra, con tutti quei sassi? E io feci la guerra.
Con la Rimondi, ricordi la mia insegnante di canto? Quella che portava sempre delle strane gonne scozzesi chiuse da una spilla da balia. Un donnone, burbero e intransigente: il bersaglio ideale.
Quand e’ che cadi?
– Aspetta. Insomma, questa Rimondi mi aveva preso in odio perchè secondo lei prendevo d’anticipo il coro, volevo fare la ‘chanteuse’, mi diceva con quell’aria di chi dice ‘vuoi fare la zoccola’. Cioè, oggi direi che il tono era quello, ma allora mi suonava solo antipatica e basta. A ogni modo mi sistemai dietro una panchina a ridosso della fontana del giardino. Volevo solo centrarla, e scelsi con cura tutte le mie munizioni. Dovevano essere bianchissime e rotonde, senza nessuna imperfezione: biglie di pietra senza pietà, l’avrei colpita in pieno, si sarebbe voltata con quell’aria disgustata e non avrebbe visto nessuno. Magnetico.
Si, ma quando cadi?
– Vuoi sapere la storia intera, o solo la caduta?
Voglio che mi racconti la prima volta che ti riesci a ricordare chiaramente il dolore che hai sentito.
– Ah, allora è ancora un’altra volta. In effetti quel pomeriggio con la Rimondi ricordo soltanto di aver provato un grande dolore, ma non ricordo il dolore vero e proprio. Posso pensarci un secondo?
Etta…dai, non fare la scema..
– Ma tu perchè lo vuoi sapere?
Lo voglio sapere perchè io non riesco a ricordarmi alcun male… Mi sforzo in continuazione e mi sembra di aver preso un sacco di botte, ai Mercati quando stavo sotto Comelli, alla Stazione, il pomeriggio che rubai nella Vineria e mi rincorsero… ricordo un sacco di botte, ma è come se non mi avessero fatto niente. Sono malato?
– Non lo so. Non ci ho mai pensato a una cosa così. Forse sono malata anch’io, Ody. Mi sto spremendo e il peggio che mi può essere capitato è quando il dentista mi ha cavato il molare del giudizio: è stato di recente, un paio di mesi fa… eppure… eppure non mi sento niente, non ricordo quel dolore. Non è che… che il dolore si dimentica?
Se si dimentica, vale la pena di soffrire per qualcosa che mi piace. Tanto me lo scordo. Che ne pensi?
– Penso che sei scemo, che ho mal di testa e che ora non ci voglio pensare.
Sei felice?
– Si, tanto.
In fondo… in fondo anch’io. Il dolore non serve a niente.
– Non dire sciocchezze, Ody. Il dolore è importante, anche se lo dimentichi: il ricordo di averlo provato ti serve ad evitare di provarlo in futuro.
Si, ma per insegnarti davvero qualcosa, allora ti deve prima passare.
– Eh. Penso di sì. Oggi hai mangiato, eh? Ti vedo più sveglio del solito.
Una bella frittata di zucchine, Etta.
Si, era proprio bella.
Quella me la ricordo ancora.