Non è ancora ora di pranzo ma un gruppo di pazienti in attesa occupa comunque un tavolo della mensa dove, tanto per cambiare, Vincent e Tony discutono animatamente a proposito del baseball. Steve e Frank stanno scambiando due chiacchiere in piedi, di fianco alla porta d’ingresso completamente spalancata
-…….Allora lui mi fa – “Non credo sia una buona idea Steve” – e io – “Ma dottor Rooney sono ormai più di tre settimane che non avverto alcun fastidio, non ci sono i presupposti per rimanere ancora”.
A quel punto lui inizia a fare un giro di parole sul numero di pazienti che sono ritornati dopo che avevano scelto di abbandonare le cure, che la mia malattia è in fase di remissione e che questa settimana proviamo ad interrompere il trattamento per verificare le conseguenze, se tutto procederà bene allora potrò tornare a casa. Dovrebbe sapere che le pillole che costituiscono il mio trattamento finiscono tutte nel cesso –Almeno la metà dei farmaci che distribuiscono in questo posto vanno a finire nel cesso –Hei Steve! Vieni qui devo chiederti una cosa. Sei un tifoso dei Red Sox se non sbaglio? –Non ti sbagli Tony –Allora spiega a questi profani a chi mi riferisco quando parlo del “bambino” –Perché esiste ancora qualcuno che non conosce George “Babe” Ruth? Colui che tutti gli storici e giornalisti considerano il migliore giocatore di baseball della storia? –Ora si che parli bene! Signori credetemi se vi dico che era uno spettacolo vedere quel ragazzo giocare. Un suo giro di mazza cambiava l’andamento di una sfida. Non dimenticherò mai le world series del 1932, le ultime giocate da Babe Ruth. Avevo sedici anni ed ero sugli spalti nella memorabile gara tre tra New York Yankees e Chicago Cubs
Tony è molto eccitato, si alza in piedi strappa un giornale dalle mani di Tom e lo arrotola, poi toglie il cappello dalla testa di Michael e lo indossa al contrario
–Babe non sta bene a causa di una caviglia malandata ed è costretto a guardare dalla panchina. Al sesto inning le cose si mettono male e allora il manager decide di rischiarlo. Il pubblico impazzisce quando vede Babe presentarsi al piatto e prepararsi alla battuta
Le immagini di quella partita sono così impresse nella mente di Tony che la sua imitazione di Babe Ruth sembra perfetta (le immagini della partita reale si alternano con l’imitazione di Tony)
–Gibson si prepara a lanciare ma prima che lo faccia Babe alza il braccio ed indica gli spalti per ben due volte come se volesse annunciare dove finirà la palla. La folla è in delirio e il manager dei Cubs suggerisce al lanciatore di concedergli una base su ball intenzionale; Gibson rifiuta, lancia forte e…….. phamm………Babe gli spedisce la palla sugli spalti
Tony simula la battuta di Babe Ruth e poi inizia a correre nella sala travolgendo una sedia che lo ostacola richiamando così l’attenzione di Matt e Kevin –Babe corre zoppicando sulle basi mentre il pubblico lo acclama “Babe, Babe, Babe” –Torna a sederti coglione, non costringermi a venirti a prendere –Andiamo tony fermati
Ignorando i richiami, Tony continua il suo show facendo spazientire Kevin
–Ora mi hai stufato sacco di merda! Matt va a chiamare Jack
Kevin accelera il passo per avvicinarsi a Tony che continua a correre urlando e quando lo raggiunge lo afferra per il colletto del camice, ma i bottoni cedono e Toni se lo sfila facendo rovinare Kevin a terra. Frank decide di intervenire facendo da ostacolo alla corsa di Tony ma l’irruenza di quest’ultimo è tale da travolgerlo. Jack, con una siringa nelle mani, arriva veloce come un treno preceduto da Matt che raggiunge per primo Tony e con un placcaggio degno di un giocatore di rugby lo butta a terra
–Babe è sommerso dagli abbracci dei compagni di squadra mentre il pubblico continua ad acclamarlo……”Babe” “Babe” “Bebe” Babe” –Tienilo fermo Matt –Lasciatelo stare, non faceva nulla di male
Frank sta per raggiungere i tre uomini a terra ma viene veemente stoppato da Kevin che nel frattempo si è rialzato. Istintivamente Frank cerca di reagire sferrando un calcio che non arriva a destinazione perché preceduto da un pugno allo stomaco da parte di Kevin
–Ma che diavolo state facendo? –Steve, fatti da parte altrimenti ci vai di mezzo anche tu. Kevin, porta via Frank –Io sono un dottore e vi ordino di lasciarli stare –Si certo! E io sono John Kennedy
Jack toglie la protezione all’ago, dà due colpetti alla siringa e inietta qualcosa a Tony che dopo pochi secondi cade in un sonno profondo
–Forza Matt, portiamo via questo figlio di un cane. Dicevi qualcosa Steve? –Si, devo parlare con il dottor Duncan –Il dottor Duncan non c’è oggi –Bene, allora chiamalo è digli che il dottor Rosenhan ha terminato il suo esperimento –Steve, sono troppo stanco per discutere con te. Hai bisogno di riposare anche tu e magari più tardi mi racconterai di questo fantomatico dottore –Non puoi trattenermi Jack, sono qui spontaneamente. Io vado via adesso –Ok Steve, come vuoi. Dammi il tempo di sistemare Tony e poi ti porto dal dottor Rooney
La scena straziante del vecchio Tom trascinato via dagli infermieri si ripete con l’unica differenza che questa volta si tratta Tony. La sala è in silenzio e tutti fissano Steve –Mi dispiace ragazzi, non volevo prendermi gioco di voi –Non devi scusarti Steve. A parte il personale qui dentro nessuno ha mai creduto alla tua follia. Saremo anche un po’ suonati ma di certo non siamo stupidi
Il dottor Rooney è alla sua scrivania con la cornetta del telefono attaccata all’orecchio mentre Steve, in abiti civili, siede di fronte a lui
–D’accordo dottor Duncan, va bene……..si certo è qui vicino a me……….ok ci penso io non si preoccupi…………a domani dottore……la saluto
Con voce ironica Rooney si rivolge a Steve
–Allora Steve……ohh….chiedo scusa, David giusto? Oppure preferisce professor Rosenhan? A quanto pare il dottor Duncan era il solo ad essere a conoscenza di questo suo esperimento. Adesso le dispiacerebbe dare ulteriori spiegazioni anche a me? Sa, giusto per sapere per quale motivo l’intero personale dell’ospedale è stato preso in giro –Se in qualche modo si ritiene offeso la prego di scusarmi dottore, ma se non avessi mantenuto la cosa segreta l’esperimento non avrebbe avuto alcun senso –Cosa ci fa qui un docente di psicologia e legge della Stanford University? –Sto conducendo una ricerca sull’affidabilità delle diagnosi psichiatriche e le loro conseguenze sociali –Credevo fossimo nella stessa barca! –Ed è così dottore! Vede, nella gente è sempre stata radicata la convinzione che i malati di mente presentassero dei sintomi che potevano essere classificati e, implicitamente quindi, che i sani fossero distinguibili dai folli. Cominciai uno studio su questa cosa e arrivai ad avere un punto di vista molto diverso secondo cui la classificazione della malattia mentale era inutile nel migliore dei casi, mentre nel peggiore era decisamene nociva. Ma erano solo considerazioni teoriche; mi servivano dei fatti –Così ha pensato di farsi ammettere in un ospedale psichiatrico e verificare cosa sarebbe successo! –Se la mia sanità fosse stata riconosciuta si avrebbe avuto una prova del fatto che un individuo sano poteva essere distinto dall’ambiente insano in cui si trovava; ma se, al contrario, la mia sanità non fosse mai stata scoperta, tutti quelli che sostenevano le modalità tradizionali di diagnosi psichiatrica si sarebbero trovati in grossa difficoltà –Ebbene? Ha avuto i riscontri che cercava? –Sono stato ammesso in questo ospedale come schizofrenico e, dopo circa un mese, stavo per essere dimesso con una diagnosi di schizofrenia in remissione senza che nessuno si sia accorto della mia esibizione. Secondo lei ho avuto dei riscontri? –Sta mettendo in dubbio la nostra professionalità? –Ci sono altre sette persone che lavorano a questo esperimento e tutti e sette, perfettamente sani, sono stati ammessi in altrettanti ospedali come schizofrenici. Tre sono già stati dimessi con la mia stessa diagnosi ma in nessun caso è stata scoperta la finzione. Io non metto in dubbio la professionalità del suo ospedale, metto in dubbio l’intero sistema –Ora mi sembra che stia esagerando –Vede dottore, il mancato riconoscimento della mia sanità è sicuramente dovuto al fatto che i medici sono più propensi a definire malata una persona sana che sana una persona malata; questo perché è chiaramente più pericoloso fare una diagnosi errata di malattia che di salute. Meglio dunque sbagliare per eccesso di prudenza e sospettare la malattia anche fra i sani. Purtroppo, però, ciò che vale per la medicina in generale non va altrettanto bene per la psichiatria. Le malattie organiche, sebbene siano una disgrazia, di solito non sono peggiorative; le diagnosi psichiatriche, al contrario, bollano gli individui a livello personale, legale e sociale; un marchio di inadeguatezza permanente –Non la seguo più professore -In pratica una volta che si sia formata l’impressione che un paziente sia schizofrenico, ciò che ci si aspetta da lui è che continui ad esser tale. Dopo un periodo sufficiente di tempo, durante il quale il paziente non ha fatto niente di bizzarro, viene considerato in remissione e può essere dimesso. Questa etichetta, però, gli rimane appiccicata addosso anche dopo l’uscita dall’ospedale, con l’aspettativa ufficiosa che si comporterà di nuovo da schizofrenico e tale etichetta influenzerà tanto il paziente quanto i suoi parenti e amici, di conseguenza non dovrebbe sorprendere nessuno che la diagnosi agisca su tutti come una profezia che si autodetermina –In conclusione lei sostiene che è impossibile distinguere un folle da una persona sana? –No dottor Rooney, le sto solamente dicendo che un processo diagnostico che si presti tanto facilmente a errori così massicci non può essere molto affidabile. Ci pensi un attimo dottore, i sani non sono sani in ogni momento; perdiamo il controllo senza un buon motivo, occasionalmente siamo depressi o ansiosi, sempre senza buoni motivi; possiamo trovare difficile andare d’accordo con tizio o caio, senza essere in grado di precisarne la ragione. Analogamente, i folli non sempre folli. In realtà, durante il mio ricovero, ho avuto l’impressione che alcuni pazienti fossero sani per lunghi periodi di tempo, che i comportamenti bizzarri su cui erano costruite le loro diagnosi costituissero solo una piccola frazione del loro comportamento globale –Non crede che ci siano delle sostanziali differenze? –E quali dottore? Se è privo di senso definire noi stessi permanentemente depressi sulla base di una depressione occasionale, allora c’è bisogno di una migliore prova di quanto oggi non sia disponibile per etichettare tutti i pazienti folli sulla base di comportamenti stravaganti o idee strane –Si rende conto che lei sta buttando al vento anni e anni di studi? –Dottor Rooney sappiamo da tempo che le diagnosi spesso non sono utili e nemmeno affidabili, e tuttavia continuiamo a utilizzarle. Il fatto è che quando il rapporto tra ciò che è conosciuto e ciò che necessita di essere conosciuto si avvicina allo zero, noi tendiamo a inventare conoscenza e a ipotizzare di sapere più di quanto in realtà sappiamo. Sembriamo incapaci di riconoscere che semplicemente non sappiamo –Professore lei sa benissimo che la psichiatria sta facendo grossi sforzi se consideriamo la complessità dei bisogni legati alla diagnosi e alla cura dei problemi comportamentali –E’ vero, ma piuttosto di riconoscere che siamo solo impegnati a capire, continuiamo a classificare i pazienti schizofrenici, maniaco-depressivi e folli, come se in queste parole avessimo catturato l’essenza della comprensione del fenomeno. E’ spaventoso pensare a come questa informazione viene utilizzata! C’è da chiedersi quante persone sono sane ma non vengono riconosciute tali nelle istituzioni psichiatriche? Quanti sono stati inutilmente privati dei loro privilegi di cittadini, dal diritto di votare fino al diritto di avere un proprio conto corrente? Quanti hanno finto la pazzia per evitare le conseguenze penali del loro comportamento? Quanti, al contrario, accetterebbero di essere processati piuttosto che vivere per sempre in un ospedale psichiatrico, ma sono erroneamente ritenuti malati di mente? Quante persone portano il marchio di una diagnosi che, per quanto in buona fede, era sbagliata?
Rooney scuote il capo come chi dissente da ciò che sta ascoltando
–Dottor Rooney l’esperimento non è ancora terminato; prevede una seconda fase –Cosa vuole dire? –Nei prossimi cinque mesi altri finti pazienti del mio gruppo tenteranno di farsi ammettere al Mind’s House
Rooney si alza in piedi e, spazientito, congeda in malo modo David
–Questo è troppo, non lo posso permettere! Lei ci toglie del tempo prezioso che potremmo dedicare a dei veri pazienti, gente che ha realmente bisogno di noi; credo sia meglio che lei vada via
Anche David si alza e si dirige verso l’uscita
–Mi dispiace dottore, ma adesso è necessario verificare se è possibile invertire questa tendenza a diagnosticare folle una persona sana. E’ una cosa che va fatta. Addio
Il corridoio che conduce all’uscita dall’ospedale è molto scuro ma dalla porta d’ingresso penetra un fascio di luce solare quasi abbagliante
Nei cinque mesi che seguirono ben centonovantatre pazienti presentarono regolare richiesta di ammissione al Mind’s House; quarantuno di questi vennero dichiarati fasulli e rispediti a casa. In realtà la seconda fase dell’esperimento non ebbe mai inizio e nessun finto paziente si presentò in quel periodo al Mind’s House.
Fine