Nel 1892 Gabriele D’Annunzio pubblica l’ultimo romanzo della trilogia della rosa, dove la rosa indica la voluttà; insieme a Il Piacere e Il Trionfo della morte, L’Innocente porta a compimento un progetto, partito tempo prima, di redenzione della sua tormentata vita;
La giustizia degli uomini non mi tocca; Nessun tribunale della terra saprebbe giudicarmi; eppure bisogna che io mi accusi, che io mi confessi; Bisogna che io riveli il mio segreto a qualcuno: a chi?
Con queste parole si apre il romanzo, Tullio Hermil protagonista assoluto racconta gli eventi vissuti un anno prima; c’è tanto di Gabriele nel personaggio che lui ha creato; Gabriele che racconta di Gabriele chiamandosi Tullio: in maniera magistrale riesce a tratteggiare i minimi cambiamenti del protagonista, l’insegue, l’analizza, si analizza.
Di Tullio, Gabriele riconosce la debolezza e l’egoismo, l’incoerenza e l’incostanza: ovviamente nel momento in cui scrive Gabriele è vinto dai sensi di colpa nei confronti della moglie lasciata e riesce a “disintossicarsi” proiettando la disillusione e l’infelicità di lei nella moglie di Tullio e nell’oggettivare la sua torbida avventura sessuale con Barbara Leoni nella tresca dell’Hermil con la Raffo;
La storia di questo romanzo, il primo tra l’altro ad aver avuto una versione francese dal titolo Intrus gira intorno ad un reciproco adulterio, ad un’assassinio compiuto da uno dei due coniugi ma dall’altro (la moglie) passivamente condiviso e ad innumerevoli torture psicologiche; è una vera e propria confessione in prima persona del protagonista del delitto compiuto un anno prima, un vero e proprio sfogo di tensione di un ricco proprietario terriero fedifrago e con smanie da superuomo.
credo non avrò il coraggio di ricominciare …e allora? sarò io la sua vittima e non potrò mai sfuggirgli
Troppo facile pensare che il vero innocente sia il piccolo figlio adulterino, nato dalla breve relazione tra Giuliana e Filippo Arborio e anche affrettosa oserei dire;
e se il vero innocente fosse il crudele, infedele, omicida, multianime Tullio?
Innocenza non ne traspare dai suoi pensieri, dalla sua gelosia corrotta, passione distruttiva d’odio nei confronti dell’intruso che impedirà per sempre il ristabilirsi dell’accordo con la moglie in sostituzione dell’altra passione che ha portato il personaggio allo sfacelo, la lussuria, nè tanto meno dalle sue scappatelle passionali con donne lontane, non così tanto a conti fatti nel far venir a galla da lui stesso i suoi tradimenti.
Il giovane superuomo dannunziano è innocente…è lui il vero innocente: la sua corsa a godere di piaceri perpetuamente assetati, il suo cercarsi altrove, negli altri, misurare il suo ego con l’arma della superiorità e godere dei mali altrui mostrando un’insicurezza di fondo verso tutto, se stesso compreso; chi desidererebbe vivere in questo modo e considerarsi in ciò appagato?
E’ colpevole certo del suo omicidio, è depravato nell’anima e nei gesti ma è anche solo, sofferente e ha come nemico numero uno se stesso.
Tullio non può perdonare la moglie, nel suo unico tradimento; non può farlo perchè ciò significherebbe perdonare se stesso: è un animo infetto e non può sopportare di dover subire le conseguenze di una putrefazione che viene da un organismo estraneo, da un organismo che fino a quel momento è stato considerato fonte di ristoro e guarigione.
allora l’atto estremo: uccidere il bambino, esponendolo al gelo di una notte di dicembre e lasciar credere agli altri che sia stato per cause naturali.