Entra infine nel Mio Essere chi, al momento del trapasso, quando abbandona il corpo, pensa soltanto a Me. Questo è vero al di là di ogni dubbio.
cit. Bhagavadgītā
Cosa ci sarà mai scritto nelle righe di quella lettera? Cosa si pensa esattamente prima di morire? Cosa si dice all’uomo che si è amato, per il quale si è sperato, sofferto, pianto, riso, gioito?
Il Bar riapre oggi: questo mese è firmato da me. Attendo ognuno di voi, trovate le parole di una donna senza vita.
Inserite pure il vostro finale nei commenti entro il 5 Marzo: a nostro insindacabile giudizio potranno essere selezionati fino a 5 finali, in palio per ognuno di loro un libro a scelta dalla classifica dei top100 di IBS (trovate qui l’elenco).
Siete pronti? Buona scrittura!
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E’ uno strano cappotto,la pelle: la indossiamo in ogni attimo della nostra vita per non permettere ai nostri sentimenti d’andar via senza lasciare segno. La indossiamo ad ogni evenienza e in ogni occasione, e spesso quella di chi ci è accanto ci sembra più verde, semplice, come il giardino di qualunque vicino. E’ solo un involucro vuoto se vi manca l’amore, il brivido che la percorre quando attendi qualcosa che non sarà mai tuo, o semplicemente non lo sarà più.
Adoro il mare.
Adoro l’aroma salmastro mischiarsi al mio caffè mentre dalla finestra della mia stanza ascolto i bambini che vanno a scuola: sono così entusiasti, pieni di vita, spensierati com’ero io prima di accorgermi d’esser viva. Chiudo gli occhi, scroscio di foglie secche, tintinnare del campanello d’una vecchia bici, cigolio della porta d’entrata d’un vecchio palazzo, fragranza del pane appena sfornato e di nuovo scroscio, stavolta di lenzuola, lento strofinarsi dell’uno contro l’altro in una battaglia di piedi intrufolati in manti bianchi. Quando riapro gli occhi la magia è sparita: ho deciso di farlo e non mi fermerò per alcun motivo, in alcun modo.
Sono le otto del mattino: siedo allo scrittoio come avevo programmato e scrivo, l’inchiostro nella penna scivola mescolato alle mie parole sulla carta, gli scrivo per l’ultima volta e poso la penna nel momento esatto in cui i miei pensieri giungono alle soglie del ricordo. Il suo sorriso è sempre stato uno specchietto per le allodole, dolce scintillio per esseri viventi incerti, faro di certezze a cui appigliarsi quando la tua vita sembra scivolar via nello stesso modo in cui ha preso possesso di te, piangendo. Sempre forti le sue mani, mentre mi accompagnava su per le scale dopo aver fatto la spesa al mercato, possenti le sue parole, lisce come lame che scavano la sabbia. Poi riprendo a scrivere, per chi solo può leggermi e salvarmi.
Guardo per l’ultima volta quella stanza, non porterò altro con me che una lettera, sento sussurrare la carta tra le mie mani e lentamente volgo le spalle a ciò che resta della mia vita in questi ultimi mesi, trascino una me prosciugata picchiettando le suole sulle scale e scivolo quasi strisciando per la strada. Da mesi progetto questo giorno, sarà perfetto, come ogni cosa, calcolato in ogni attimo, in ogni gesto, anche se quel che sto per fare non ha alcun senso che si possa definire logico: semplicemente la mia vita non mi appartiene più e ho deciso d’abbandonarla, magari di vestirne un’altra, e se i miei piani andranno secondo rigore, alla fine avrò vinto.
Nell’atto di congedarmi da quella busta ho ripensato ai suoi occhi chiari, alla passione dei suoi baci, al suo modo lento di accarezzarmi i capelli prima dell’amore, al mio ventre pieno del suo, e al dolore che mi ha spezzato il cuore: baciai la lettera e il suo nome, la busta cadde con un tonfo sordo nella buca lercia e rossa.
Guardo l’orologio e mi scopro in ritardo: il cambio d’una vita è puntuale, non attende rimandi, c’è sempre uno ed un solo momento in cui si può cambiar binario, saltar su quello parallelo e continuar dritti per la propria via, ed io ho già perso troppo tempo.
Il vento sferza la mia pelle, amo sentirmi ferire in questo modo dalla brezza del mare, sembra quasi che m’accarezzi per fami forza ancora una volta, per dirmi “dai, sono qui, abbracciami”. Muovo i miei passi verso la cima di una roccia scura avvertendo il crepitio dei sassi che si sfaldano sotto di me: poco a poco salgo in cima, accompagnata dai baci del vento che in mille sciarpe d’amore m’avvolge nel suo vociare, guardo il mare in basso, e l’orologio un’ ultima volta, poi lo sgancio poggiandolo sulla pietra più vicina.
Blocco il mio piede nel tempo, e poi nel vuoto.
I capelli e la testa si abbandonano all’indietro, i miei piedi sono liberi senza peso da sorreggere, sento quasi le sue mani lungo i miei fianchi e i miei occhi si svuotano nel buio degli ultimi istanti, il suo viso scompare tra le mie braccia, nel vento, e lascia sola la mia fredda esistenza che piomba a mani giunte nell’abbraccio del mare.
E’ una bella sensazione cambiar vita, sai che non sarai più la stessa: e non sarà domani, ma in quello stesso momento in cui lo pensi, in cui immagini come sarà. Le bolle d’aria danzano insieme al rosso del mio sangue, le vedo girarmi intorno nell’azzurro ventre del mare, sento addosso la vita, quella nuova, quella che inizia dalla fine. Come un gabbiano nel cielo d’Agosto mi avverto esistere, e chiudo gli occhi, mentre lentamente il mio corpo mi trasporta negli abissi di acqua e roccia.
[…]
Mentre spingeva dentro la serratura il rumore del ferro contro ferro per aver accesso al suo covo, Eloi aveva tra le mani la chiave di lettura della sua esistenza da due anni a questa parte, la chiave di volta, il cuore profondo del suo rapporto con le cose, con le persone, col mondo, ma lo ignorava.
Come un bambino danzava in punta di piedi sul pavimento lastricato della cucina, poggiava la borsa pesante tra le pieghe del legno di una sedia, girandosi per prendere il caffè lungo preparato qualche ora prima. Lo versò in una tazza grande come era solito fare e sentendone il profumo inebriargli i pensieri si voltò a prendere la posta rigirandola tra le dita: di colpo un sorriso cupo, un sospiro spezzato, il vapore del caffè che gli offuscò la vista.
Era alla finestra a guardare il mare, lo vedeva d’un tratto muoversi più lento, sembrava anzi che persino l’aria si fermasse nell’attesa dell’attimo in cui fosse aperta quella busta che recava il nome della persona che da anni amava. Inforcò gli occhiali e palpò la superficie cartacea, fredda come il marmo, che come un oracolo parlava alle mani del suo contenuto.
Scrutò le parole del dorso, come si fa in mare quando da giorni non si tocca terra:
Per sempre tua.
Era giunto all’orizzonte del mare il suo sguardo, in cui gli occhi baciano la carta e l’inchiostro.
Sorrise per l’ultima volta, tirando via il fiato dal petto, l’aprì e lesse.
Song by Yuriko Nakamura – Eternity