Romanzo assolutamente atipico di un genio letterario contemporaneo, Le città invisibili viene pubblicato nel novembre del 1972.
È un’opera sui generis, all’incrocio di un racconto filosofico e fantastico-allegorico. E non è un caso l’anno di uscita. Il libro nasce durante la prima parte (1964-1970) del lungo soggiorno parigino di Italo Calvino, che in quegli anni assorbe le turbolenze del clima culturale francese, e in particolare di quegli scrittori sperimentali che diedero poi vita allo “strutturalismo”, corrente letteraria che tendeva a ridurre la complessità del mondo in figure ed emblemi, con la conseguenza che la scrittura si sganciava da ogni rapporto con la realtà.
E proprio di realtà non c’è traccia ne Le città invisibili. Tutto è mentale, dalle coordinate spazio-temporali alle città, appunto, “invisibili”. È lo stesso Calvino a spiegare la genesi di questo libro in una conferenza del 29 marzo 1983 agli studenti della Graduate Writing Division della Columbia University di New York. Esso nasce da ricordi di viaggi, memorie di città visitate e annotazioni spesso poetiche di impressioni ricevute in un dato momento e in un certo luogo, a seconda degli stati d’animo dello scrittore. Il libro – precisa l’autore agli studenti – è nato un pezzetto per volta, a intervalli anche lunghi, come poesie che mettevo sulla carta. La felice invenzione narrativa, che permette di fare di questi appunti un libro, risiede nella figura di Marco Polo: Italo Calvino immagina, infatti, che sia lui a presentare a Kublai Kan, imperatore dei Tartari, una serie di relazioni sui suoi viaggi in Estremo Oriente. Prende così corpo la struttura dell’opera che, specchio fedele della letteratura combinatoria tipica dell’autore, comprende 55 descrizioni di città, tutte chiamate con un nome femminile di ascendenza classicheggiante. Nove capitoli, suddivisi in nuclei tematici che si ripetono in un incessante gioco combinatorio, sono aperti e chiusi das un dialogo tra Marco Polo e Kubali Kan, che ne forma la cornice.
Credo che non sia solo un’idea atemporale di città quello che il libro evoca, ma che vi si svolga, ora implicita ora esplicita, una discussione sulla città moderna. Da qualche amico urbanista sento che il libro tocca vari punti della loro problematica […] Che cosa è oggi la città, per noi? Penso d’aver scritto qualcosa come un ultimo poema d’amore alle città, nel momento in cui sembra sempre più difficile viverle come città. Forse stiamo avvicinandoci a un momento di crisi della vita urbana, e Le città invisibili sono un sogno che nasce dal cuore delle città invivibili. Raramente credo che uno scrittore sia stato così chiaro riguardo un proprio libro. Quello che sta a cuore al mio Marco Polo è scoprire le ragioni segrete che hanno portato gli uomini a vivere nelle città, ragioni che potranno valere al di là di tutte le crisi. Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell’economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi.
Quello di Italo Calvino sembra essere una vera e propria laus civitatis, ma non di una città specifica (come erano le laudes medioevali), ma della città in generale, da millenni polo di aggregazione, di scambi e, come dice l’autore stesso, di memoria, desideri e segni. Le città impossibili create da Calvino sono sogno, utopia che nasce dall’osservazione della città moderna, della “megalopoli” che tutto copre e tutto ingloba. La città di Leonia rispecchia, forse, meglio di tutte le altre la condizione dell’odierna città. Una città che rifà se stessa tutti i giorni, letteralmente schiacciata da uno sfrenato consumismo, causa dei cumuli di rifiuti che la invadono. Il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula […] Rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d’ieri che s’ammucchiano sulle spazzature dell’altroieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri. Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato immondezzaio non stessero premendo, al di là dell’estremo crinale, immondezzai d’altre città, che anch’esse respingono lontano da sè le montagne di rifiuti.
Analisi lucida e spietata prefigurazione del destino cui vanno incontro le città. Da Leonia a Napoli la letteratura è diventata realtà.