Amor, ch’al cor gentile ratto s’apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte
che, come vedi, ancor non m’abbandona
Sono due tra le terzine più famose della Divina Commedia. I versetti 100-105 del canto V dell’Inferno hanno scolpito nell’Eternità la storia dei due amanti condannati alla dannazione dalla forza impetuosa del loro amor puro. Due amanti realmente esistiti, non creati dalla fantasia di uno scrittore (vedi Shakespeare con Romeo e Giulietta).
Siamo in pieno Medioevo, un’era cruenta, nella quale le guerre non mancano mai. Le due famiglie rivali dei da Polenta di Ravenna e dei Malatesta di Rimini decidono di porre fine alle ostilità. E cosa c’è di meglio, per sancire un’alleanza, che un bel matrimonio combinato? Guido da Polenta decide così di dare la mano di sua figlia Francesca a Giovanni Malatesta, brutto, zoppo e scortese. Per evitare il più che probabile rifiuto da parte della ragazza, i neo-alleati signori di Rimini e Ravenna tramano l’inganno, inviando da Francesca Paolo, fratello di Gianciotto (Johannes Zoctus, ossia Giovanni lo Zoppo). La giovane Francesca si innamora a prima vista di Paolo, bello e di buone maniere, e pronuncia il suo “sì” convinta di convolare a nozze con l’uomo che le si para dinanzi, senza sapere che questi, in realtà, la sta sposando per “procura” al fratello Gianciotto. La disperazione di Francesca, scoperto l’inganno, è indescrivibile; nonostante ciò, la ragazza si rassegna. Ma gli incontri tra Francesca e il cognato sono sempre più frequenti. E in uno di questi incontri, nella splendida cornice della Rocca di Gradara (storia e leggenda concordano nel sito), durante la lettura della travolgente storia tra Lancillotto e Ginevra, scocca il bacio più celebre della letteratura italiana. Gianciotto, certamente avvertito da qualcuno, si avventa sui due: Paolo cerca di scappare, non ci riesce, Francesca lo difende: in pochi secondi entrambi cadono sotto i colpi della spada.
Uniti anche dopo la morte, Paolo e Francesca scontano il loro peccato nel girone dei lussuriosi. Ma quale peccato?
Dante è spiazzato. È, questo, l’unico episodio dell’Inferno in cui il Poeta prova pietà nei confronti dei peccatori. Addirittura sviene: E caddi come corpo morto cade. Com’è possibile, infatti, che questo sentimento così puro si sia trasformato in peccato così grave? L’incontro con Paolo e Francesca porta alla ribalta l’insanabile conflitto tra morale e passione, due forze in perenne lotta tra di loro.
Due forze di cui abbiamo, forse, anche noi avvertito il peso.
Dante, poeta dell’Amore del “Dolce Stil Novo”, non può fare a meno di provare una certa simpatia nei confronti dei due amanti; simpatia nel senso squisitamente greco del termine (letteralmente “soffrire insieme”). L’episodio di Paolo e Francesca è davvero un unicum, perchè Dante non si comporta da moralista e censore; troppa è la vicinanza emotiva alla storia narrata. L’emozione è così forte da provocare uno svenimento.
Morale e passione, regola e trasgressione non andranno mai a braccetto. Ci si schiera con troppa facilità da una parte e dall’altra. Certo, pensare che Dante Alighieri, moralista intransigente in un’epoca intransigente, abbia “strizzato l’occhio” ad un tradimento, forse ci disorienta un pò. Certamente fa riflettere. Ed è quanto mai affascinate che ci induca a ciò una storia comune, quella di un uomo e di una donna che hanno goduto, nella loro triste vicenda, di un solo, grande, straordinario privilegio: vivere al tempo di Dante…