No man is an island, entire of itself
every man is a piece of the continent, a part of the main
if a clod be washed away by the sea,
Europe is the less, as well as if a promontory were,
as well as if a manor of thy friends or of thine own were
any man’s death diminishes me, because I am involved in mankind
and therefore never send to know for whom the bell tolls
it tolls for thee.
John Donne, Meditation XVII
Ogni uomo è parte integrante dell’intera umanità. Nessun uomo è un isola. Quando Thomas Merton, riprendendo il suddetto passo di John Donne, comunicò al mondo le proprie teorie non sembrò chiaro il suo obiettivo. Chiunque viene al mondo sa, in un certo qual modo di far parte di un progetto.
« Quello che faccio viene dunque fatto per gli altri, con loro e da loro: quello che essi fanno è fatto in me, da me e per me. Ma ad ognuno di noi rimane la responsabilità della parte che egli ha nella vita dell’intero corpo ».
Come posso esprimere la mia indipendenza se essa prescinde da me?
Ciò che quotidianamente ricerchiamo è la salvezza, la salvezza nostra e delle persone che amiamo. Ma la nostra salvezza non è solo una dissolvenza tra vita e morte, è perlopiù un viaggio verso noi stessi. Verso l’appartenenza che naturalmente porta l’uomo a considerarsi elemento atomico dell’altro. Un’anatomia dell’animo che rigetta i porti più vicini e si apre ai luoghi più disparati. Quei luoghi a cui facilmente tendiamo per sentirci liberi.
“E allora, non chiedere per chi suoni la campana. Essa suona per te”
Per me che non riesco a controllare nessuno, neanche me stesso. Per me che non accetto interferenze. Per me che vivo di espedienti. Per me che considero vita la mia passività.
La campana suona in segno di morte, della morte materiale dell’io e dell’incontro soggettivo del noi che riemerge annaspando.
Ma chi dice che sia questo il mare della terra? Io, legenda, cammino da solo in attesa del naufragio.
“E se posso permettermi, è una frase del cazzo! Secondo me ogni uomo è un’isola e per di più questo è il momento giusto per esserlo. Questa è l’epoca delle isole. Cento anni fa era diverso, dovevi dipendere altre persone. Nessuno aveva la TV, o i CD, o i DVD, o i video, o la macchina per farsi il caffè espresso in casa. A dire la verità non avevano niente per divertirsi. Oggi invece puoi crearti da solo una piccola isola paradiso. Con gli accessori giusti e, cosa ben più importante, con l’atteggiamento giusto, puoi essere assolato, tropicale, una calamita per le giovani turiste svedesi. E a me piace pensare che io potrei proprio essere un’isola del genere, mi piace pensare di essere molto fico. Mi piace pensare di essere Ibiza!”