François-Marie Arouet, alias Voltaire, era un uomo.
Mi permetto di pronunciare questo pesante giudizio riguardo una personalità così imponente per la storia dato che, grazie al Cielo, possiamo ancora aver facoltà di ciò che più ci appartiene: la nostra umanità.
Voltaire visse nel pieno del XVIII secolo, era figlio di una ricco borghese, un notaio fanatico del giansenismo, che naturalmente aveva di che preoccuparsi quando iniziò ad accorgersi della grande passione del figliolo per gli studi umanistici (primi su tutti retorica e filosofia).
Ricevette una solida educazione all’interno di un collegio gesuita e, da grande personalità quale era, dopo molti anni ricordava ancora con ammirazione le doti dei suoi maestri d’infanzia, pur criticandone l’appartenenza al clero.
Voltaire non ebbe vita facile poiché dovette spostarsi dalla Francia all’Inghilterra, poi in Prussia e in Svizzera, per poi far ritorno a Parigi; in quasi tutti questi paesi entrò in conflitto con le autorità: Filippo D’Orléans, il cavaliere di Rohan (che lo fece bastonare dai servi), Federico II e la comunità giansenista di Ginevra.
I suoi scritti erano pungenti, mettevano in discussione il principio di autorità dei sovrano e condannava lo stile di vita della nobiltà.
Intanto in Gran Bretagna venne a contatto con gli ambienti illuministi, incontrando personalità come Robert Walpole, Jonathan Swift, Alexander Pope e George Berkeley. Maturò idee illuministe contrarie all’assolutismo feudale della Francia. Ivi scrisse, poi, le Lettere inglesi (o Lettere filosofiche), per le quali venne di nuovo condannato, in quanto aspramente critiche contro l’ancien régime; ancora una volta era contro i potere costituito e legittimato per diritto divino.
La sua intera esistenza fu segnata dai continui attacchi al clero e alla Chiesa come autorità terrena, tuttavia Voltaire non era ateo, da buon illuminista era infatti imbevuto di razionalismo, tanto da iniettarlo in una fede di tipo deistico.
Secondo questa dottrina l’esistenza di Dio non è messa in discussione, tuttavia egli, in quanto creatore del mondo, è anche suo ordinatore e regolatore.
Il deismo ritiene che l’uso corretto della ragione consenta all’uomo di elaborare una religione naturale e razionale completa ed esauriente, capace di spiegare le meraviglie del creato; il deista fonda quindi la propria teologia non sui testi sacri ma sulla ragione, e assume a priori l’esistenza della divinità, come base indispensabile per spiegare l’ordine, l’armonia e la regolarità nell’universo.
La questione della religione, come abbiamo detto, segnò tutta la vita di Voltaire, tanto da far sorgere dubbi sul mantenimento della propria condizione di ateo, a quanto pare negata da documenti controversi rinvenuti nel 2005. In essi il filosofo avrebbe chiesto di redimersi, ma probabilmente questa richiesta fu fatta per evitare di essere seppellito in fosse comuni, cosa del tutto sconveniente per un uomo convinto dell’utilità sociale della religione per scopi legati al mantenimento della moralità del popolo:
“Les lois veillent sur le crimes connu, et la religion sur le crimes secretts” (la legge vigila sui crimini conosciuti, la religione su quelli segreti).
Morto nel 1778, fu portato fuori città in segreto (vestito come se fosse ancora vivo e fatto sedere in carrozza), prima del sontuoso funerale, i medici che eseguirono l’autopsia gli asportarono il cervello e il cuore (riunito anni dopo ai resti). A tredici anni dalla propria morte, la sua impronta era così forte che, in piena Rivoluzione, fu trasportato trionfante su un catafalco per essere sepolto nel Pantheon, accanto ad un altro grande pensatore del calibro di Jean-Jacques Rousseau, peraltro suo storico rivale.
Grande letterato, grande filosofo, riuscì a portare un bagliore di razionalità persino tra i meandri di chiese e cattedrali, là dove alla mente, sin troppo spesso, non è permesso di filtrare.