Troppo spesso si pensa agli autori antichi come noiosi moralisti, squattrinati filosofi o poeti distanti anni luce dal mondo che quotidianamente vivono, impegnati esclusivamente nella costruzione di un universo parallelo, magari grande, sì, grandissimo in alcuni casi, fatto di storia e/o mito, ma fuori dalla realtà prosaica che ci circonda.
Non è certamente questo il caso dell’ Ars amatoria (o Ars amandi, o ancora De arte amandi) del più arguto e sfrontato poeta latino, Ovidio, il D’Annunzio dell’antichità. È un poema didascalico in 3 libri di distici elegiaci. Ovidio diventa qui praeceptor amoris, maestro dell’erotismo e delle tecniche di seduzione. Nel primo e nel secondo libro l’autore si rivolge agli uomini, dispensando consigli sulle tecniche di conquista della donna e sulle strategie per conservare il rapporto. Tecniche e strategie che, precisa il poeta, sono universali.
E così nel corso della lettura ci imbattiamo in situazioni che non avremmo mai pensato diventare oggetto privilegiato di un’opera compiuta; innanzitutto da parte di un esponente tanto importante della letteratura latina come Ovidio, in secondo luogo nella forma del poema didascalico. Quello che, tanto per capirci, era stato fatto proprio da Lucrezio, che nel De rerum natura si era prefisso lo scopo di ammaestrare i suoi destinatari, indirizzandoli alla filosofia epicurea. Ovidio si pone esattamente come un insegnante, legittimando questa posizione con un’esperienza, in fatto di donne, che è stata in vita davvero notevole. Il poeta adopera la suggestiva metafora della caccia: l’uomo, afferma, è cacciatore, e in quanto tale deve studiare la sua preda. Deve quindi conoscere i luoghi che la donna-preda frequenta, le persone di cui si fida, i suoi gusti, le sue passioni e i suoi capricci; deve essere in grado di parlare di qualsiasi argomento, entrare nelle grazie delle sue ancelle, promettere doni (promettere – precisa Ovidio -, non farli!). Non mancano consigli attinenti la sfera dell’estetica: l’uomo deve essere sì pulito e ben vestito, ma non eccessivamente curato (Teseo rapì la figlia di Minosse senza ornamento alcuno tra i capelli, e Fedra amò le chiome irte d’Ippolito. Adone, nato tra le selve e i boschi, fu l’amor d’una dea.).
Anche il secondo libro è dedicato agli uomini, ma questa volta il nostro precettore si occupa di come si debba conservare il rapporto, una volta effettuata la conquista. Bisogna assolutamente evitare i litigi, che possono costare tante notti d’amore (perché, non dimentichiamolo, l’amore cantato da Ovidio è soprattutto quello fisico), e, con le dovute cautele, far ingelosire il partner: il legame, in questo modo, si rinforzerà.
Nel terzo ed ultimo libro, invece, Ovidio si rivolge alle donne. Ma la posizione femminile non è sullo stesso livello di quella maschile. Il poeta di Sulmona, infatti, non si pone nell’ottica di chi insegna alle donne come conquistare (ed ingannare) l’altro sesso, ma i suoi consigli sono finalizzari solo a renderle più attraenti agli occhi degli uomini, dedicando, per esempio, molta attenzione alla cura dell’aspetto fisico, che deve avere per loro un ruolo di primo piano.
L’ Ars amatoria ha goduto di una straordinaria fortuna nel corso dei secoli. E non stentiamo a crederlo. Perché certe cose non cambiano mai…