Genova
O città fantastica,o gorgo di fremiti sordi!
Mentre sulle scalee lontano io salivo davanti
A la tua notte torbida lambita di luci fuggenti
E lento tra le spente teorie
Degli uguali cipressi,le grandi spente faci,salivo
Salivo guidando l’affranta
Giovane al chiostro bianco nel fremito amaro dei lauri
Ridevano giù per le scale
Su un circolo incerto inquiete forme beffarde,
Il fiume mostruoso
Torbido riluceva come un serpente a squame.
Quand’ella in pallore anelante
Fisa rivolta,le labbra convulse,le amare
Labbra protese a te nero turrito naviglio nel mare del fuoco
A te nell’ultime febbri dei tempi consunte,o città,
E sia questo amore omicida
Gridai ecc. ecc. ecc.
Dino Campana
Mi piace pensare che Campana abbia scritto questa poesia proprio pensando al suo ennesimo viaggio-vagabondaggio che l’avrebbe portato dal capoluogo ligure all’Argentina,magari poco prima di salpare per una delle sue mete sconclusionate conducendolo così lontano dagli intellettuali che persero i suoi appunti poetici obbligandolo a riscriverli colla sola forza di una mente minata fin dalla giovane età.Poeta pazzo ed errante e,come definito da Bo ed altri critici a lui contemporanei,un semplice ponte tra la poesia “vecchia” e la moderna rivoluzione giunta con Ungaretti,folle tanto da inseguire la poesia fino a minare la sua mente,dunque stimabile per questo,ma soltanto per questo,infondo poeta modesto e di cultura approssimativa a loro dire.
Io credo che la sua suggestiva parola unita alla sua vita ci offrano un risultato potente e poeticamente valido,lo vedo il baffuto Dino coi capelli impomatati aggirarsi per le strade genovesi,umide,in solitudine,sognando compagnia,forse femminile,scrutando ogni millimetro di ciò che gli è intorno,che lo minaccia,tutto opaco,tutto finito;che attende ma non spera mentre le altre forme umane sono pericoli,beffarde figure che di lui,fortunatamente,non si curano,ma lui pensa tra loro ad altro e lo rivive in quel luogo.Genova è oggetto della sua poetica non solo in questo caso ma anche in un componimento che troviamo nei “Canti Orfici”il tormentato lavoro che il poeta di Marradi partorì infuocato,è il caso di dirlo,dalla filosofia nicciana,da un tratto orfico,indefinito,come la sua collocazione nel mondo.
E’ questo che sono i “Canti” che conosciamo,disperato sforzo di ricreare il proprio mondo.