I colleghi di lavoro (in leggera maggioranza le donne, non è sessismo) (o si?) tendono a creare una sperequazione tra il pensiero e la parola: non sarò la prima persona al mondo a notare uno squilibrio siffatto, ma di certo sono una delle prime che ha avviato un progetto ambizioso: costituire un dizionario di sussidio per i lavoratori, che fornisca gli strumenti adatti ad una civile convivenza sul posto di lavoro.
Eccovi un estratto:
“Non riesco a capire come si usa questo telefono” = “Non ho fatto alcun tentativo per cercare di capire come si usa questo telefono”.
“Ho bisogno di aiuto con questo” = “Fai questo per me”
“Ehi! Una domanda veloce!” = “Ehi, diverse dozzine di domande articolate!”
“Abbiamo bisogno di chiamare questo cliente” = “Devi chiamare questo cliente”
“Mangi fuori oggi?” = “Portami fuori a magnà”
“Credo che abbiamo finito le penne” = “non vedo penne nel raggio della mia sedia, e non penso ad alzarmi per cercarne”
“Michele ha una postazione nuova?” = “Perchè non ne ho una anche io?”
“Grazie per avermi mostrato come si usa Outlook” = “TU sei stato appena nominato l’esperto di Outlook, faremo riferimento sempre a te”.
“Mi aspetto un fax” = “Mi aspetto che tu faccia la muffa accanto al fax per le prossime 9 ore”.
“La fotocopiatrice è rotta” = “La fotocopiatrice ha finito la carta”
“La fotocopiatrice è rotta” = “La fotocopiatrice non ha capacità telepatiche per capire cosa voglio senza che io prema alcun tasto”
“La fotocopiatrice è rotta” = “La fotocopiatrice è rotta, e siccome sei qui davanti a me io ti considero il riparatore della fotocopiatrice”
“La fotocopiatrice è rotta” = “Ho rotto la fotocopiatrice”.