La definizione di solidarietà nel dizionario è: “L’essere solidali con altri; il sentirsi moralmente unito con altri all’interno di una collettività”. Personalmente ho notato che la gente prova un grande senso di solidarietà quando succedono catastrofi come terremoti, alluvioni, nubifragi e altre disgrazie. Subito partono trasmissioni che in diretta ci informano sulla situazione in tempo reale, e subito si istituiscono delle raccolte di fondi da spedire nel malcapitato Paese dove è accaduta la catastrofe per aiutare la popolazione. Che ben venga tutto ciò…. poi però nella vita quotidiana noto un sentimento di grande intolleranza e di indifferenza nei confronti dei mendicanti che per le strade chiedono l’elemosina, nei confronti degli immigrati che arrivano in Italia, nei confronti dei tanti extracomunitari irregolari che a causa della loro condizione vengono sfruttati o nei campi di agricoltura o nei cantieri, ed ancora nei confronti delle moltissime prostitute che arrivano qui in Italia con l’illusione di lavorare in maniera regolare. Così come non ho mai visto istituire una raccolta fondi per costruire un orfanotrofio a Kabul ad esempio, per aiutare i bambini che hanno perso i propri cari in attentati dei kamikaze o nelle famose operazioni belliche dove vengono sganciati i cosiddetti ‘missili intelligenti’. A questo punto, rileggendo la definizione di solidarietà, mi domando se questo sentimento lo si debba provare a sprazzi, in determinate situazioni specifiche oppure chi è solidale lo è sempre con tutti, indistintamente da razze o religioni di appartenenza?
Da anni poi noi occidentali siamo impegnati ad inviare aiuti umanitari all’Africa. A tal proposito cito cosa ne pensa di tali aiuti l’economista nata e cresciuta nella capitale dello Zambia, Dambisa Moyo, che ha completato un dottorato in economia all’Università di Oxford e ha conseguito un master presso la Harvard University, che ha inoltre completato un corso di laurea in Chimica e un MBA in finanza presso l’American University di Washington DC. Dambisa è anche autrice di libri che spiegano l’inefficacia degli aiuti umanitari per lo sviluppo economico africano, ed è stata inserita dalla rivista ‘Time’ fra le cento ‘most influential people’ del mondo. “Negli ultimi 60 anni sono stati erogati sussidi per oltre mille miliardi di dollari, ma le condizioni in Africa non sono migliorate”- spiega l’economista africana in un’ intervista fatta tempo fa ad un quotidiano italiano – “I soldi spediti in Africa spesso finiscono nelle tasche di dittatori invece di essere distribuiti alla popolazione. Un esempio è Mobutu, presidente dello Zaire dal 1965 al 1997, il quale ha rubato almeno 5 miliardi di dollari al suo paese. I governi” – continua Dambisa – “sono demotivati dall’assumere iniziative di vero sviluppo, o di crescita del tessuto industriale o agricolo, in quanto sanno che prima o poi verranno rifinanziati presto dall’occidente, pensano piuttosto a creare eserciti sempre più forti che fanno comodo a chi è al potere. Bisognerebbe intraprendere un preciso scadenziario e fissare paese per paese un giorno, cominciando ovviamente dai meno poveri, in cui gli aiuti cessano. Si pensi all’India: nel 2004 il governo chiese all’occidente di smettere di inviare aiuti, e da quel momento il paese si è trasformato in uno dei più straordinari esempi di sviluppo del pianeta.
In realtà – conclude – “solo il 20% dei fondi stanziati dalle Ong, finiscono veramente alle popolazioni africane, gli aiuti agroalimentari invece vanno direttamente nelle mani delle multinazionali. Ma non sarebbe più logico e meno dispendioso sovvenzionare gli agricoltori africani perché crescano in loco frutta e cereali?”.